Quanto vale la tua azienda? Oggi la risposta a questa domanda è strettamente legata ai cosiddetti “intangibili”. Nel 1975 il peso di questi asset nel valore totale dei titoli dell’S&P 500 era stimato al 17%; ora è pari al 90%.
Gli intangibili sono fattori di natura immateriale, tra cui la proprietà intellettuale, la #reputazione, la riconoscibilità del marchio e – sempre di più – la percezione della #sostenibilità dell’azienda.
In genere quando si pensa alle emissioni di gas serra, i settori che ci vengono in mente sono i soliti: energia, trasporti, manifattura, agricoltura, edilizia. Raramente pensiamo al “digital”. Anzi: spesso chi come noi fa consulenza in questo mondo – magari occupandosi giornalmente di #CSR e accountability per i propri clienti – si sente molto green, al riparo da queste problematiche.
Per questo, quando poco tempo fa ho partecipato all’incontro “Scopri l’impronta ambientale delle tue campagne digitali e agisci per un futuro sostenibile”, promosso da UPA – Utenti Pubblicità Associati con Scope3 e Adform, è stato (almeno per me) un brusco risveglio.
Scope3 stima che, mediamente, una campagna pubblicitaria video con un budget di €10.000 generi un’impronta ecologica paragonabile a un’auto che percorre oltre 4mila chilometri. E che mille visualizzazioni pubblicitarie online comportino l’emissione di 402 grammi di CO2. Insomma: è come se il vostro Social Media Manager gettasse mezzo kilo di carbone in una caldaia a fianco alla sua scrivania. E vi assicuro che mille visualizzazioni sono nulla, per una campagna.
Dell’esagerato consumo di acqua per far funzionare ChatGPT e Midjourney, poi, ne parliamo un’altra volta!
Chi l’avrebbe mai detto che presto (molto presto) settori ancora percepiti come green, magari convintamente eco-friendly e inclusivi, potrebbero ritrovarsi con una reputazione da inquinatori seriali quanto un’azienda Oil&Gas?
Per ora, marketer, comunicatori, manager e brand digitali non sembrano interessarsi molto a questo tema. Ma a breve dovranno farlo.
Visto che siamo vicini al Natale, però, voglio chiudere (l’articolo e l’anno) con due notizie positive. La prima: esistono già oggi strumenti (come Scope3 e Adform) per contribuire sin da subito a ridurre l’impatto ambientale delle attività di pianificazione digital (e noi in ecomunicare andremo in questa direzione).
La seconda è che la reputazione del brand – di cui noi ci occupiamo – continuerà a pesare, e tanto, sul valore di mercato delle imprese. Comprese quelle digital, che oggi si sentono così “confortevolmente” al sicuro rispetto al tema sostenibilità.
Se volete, noi siamo qui per parlarne.
Lucio Chiappa